Banco Alimentare Alessandria. Nel 2011 11mila pasti caldi alla mensa della San Vincenzo


«Santi che pagano il mio pranzo non ce n'è sulle panchine in piazza grande», cantava nel 1972 Lucio Dalla. Quando entri nel "ristorante" della San Vincenzo, in via Ovada a Novi Ligure, ti pare di sentirla in sottofondo quella vecchia canzone, tra il profumo di ragù e il rumore delle posate che puliscono i piatti. Un ristorante un po’ strano, dove si mangia bene, ma bene davvero, e si spende poco, anzi non si spende proprio nulla. Un ristorante che qualcuno chiama mensa dei poveri, che apre tutti i giorni dalle 12 alle 13 e che riesce a riempire le pance vuote di non meno di 60 persone al giorno. Una umanità varia che viene da Novi e dintorni «ma qualcuno viene fin da Genova» ci dice un po’ orgogliosa una volontaria. Una umanità varia fatta di donne e uomini, italiani e stranieri, senza tetto, emarginati, disoccupati. Gente che si ammassa sulla via in attesa di un pasto caldo seduti al tavolo come al ristorante e quasi sempre ti danno anche un sacchetto con qualcosa da mangiare la sera.

Ma cosa c’è dietro questo strano posto che da anni tutti i giorni dà da mangiare, offre la possibilità di farsi la doccia e di ricevere un cambio di indumenti intimi, fornisce derrate alimentari, abiti, sostiene in tutti i modi chi ha più bisogno? Ada Caraccia, presidente della associazione di volontariato San Vincenzo, è la persona giusta a cui chiedere il perché e il per come di tutto questo. La incontriamo negli "uffici" della associazione, due stanzette sopra la mensa in cui nulla viene lasciato all’apparenza e tra i mobili stretti e una caldaia che manda un po’ calore («ma dobbiamo stare attenti che non ci mangi l’aria») si cercano di tenere i conti perennemente in perdita di chi fa beneficienza. Entro e c'è una ragazza con i ricci neri che chiede qualcosa. C’e sempre qualcuno che chiede qualcosa: un pacco di pasta e riso, i soldi per il treno, aiuto per pagare la bolletta del gas. «Siamo in un mondo di inganni e bugie, ma è meglio essere ingannati e dare a chi non ha necessità, che correre il rischio di negare a chi davvero ha bisogno. Basta questo per togliersi ogni dubbio e capire che questa ragazza non andrà via a mani vuote. «Ma non dirlo a nessuno», le raccomandano mentre esce, «I bisogni aumentano e non si riesce mai a fare abbastanza - dice Ada Caraccia - Nel 2011 abbiamo servito 11mila pasti caldi, 700 servizi doccia con cambio biancheria, 5000 pacchi di alimenti. Temiamo che sia sempre peggio, che ci siano sempre più bisognosi, «La mensa è un impegno forte: abbiamo una trentina di volontari che si turnano, sotto la direzione di Adriana Bergaglia, accendendo tutte le mattine alle 8 i fornelli e riuscendo sempre a preparare un primo e un secondo, facendo miracoli con quello che c’è. Gli alimenti ci arrivano dal Banco Alimentare e dal Bennet che ci consegna due volte alla settimana l’invenduto di prodotti gastronomici prossimi alla scadenza: bisogna andarli a prendere, controllarli, darli alla cucina e a chi prepara i pacchi in distribuzione. Poi abbiamo il servizio docce, svolto in convenzione con il Comune a cui aggiungiamo un cambio di biancheria, e il servizio guardaroba - diretto da Maria Morgavi - che distribuisce indumenti usati».

Forse non viviamo davvero in una società egoistica. Ci vuole vocazione, penso, per dedicare così tanto tempo. tanto impegno, agli altri. Arriva la domanda ineludibile: perché fare tutto questo? «E’ naturale» ci dice cosi, semplicemente, Ada Caraccia. Ha ragione, potremmo usare tante parole, ma basta questa. La naturalezza del Bene. Ineludibile. «Non è mai facile, ma alla fine si riesce sempre a trovare una soluzione. Diamo fastidio, alcuni abitanti della via hanno fatto una lettera perché ce ne andassimo altrove, perché si sentivano infastiditi dalla fila di persone che aspettano un pasto, un cappotto. I rapporti di vicinato non sono facili, ma alla fine riusciamo a parlare con tutti. Non è facile dare: gli italiani si lamentano che favoriamo gli stranieri, i marocchini che favoriamo i rumeni e viceversa, ma noi trattiamo tutti nello stesso modo e andiamo avanti. Non è facile dare soprattutto perché i bisogni superano le nostre disponibilità, come mi ricorda sempre il nostro tesoriere, Giancarlo Coscia».

E’ difficile stare in mezzo a tanto disagio «Ogni tanto ci arriva una mazzata, come l’omicidio in Piazza deila Stazione poche settimane fa: erano nostri "clienti" fissi, li conoscevamo bene tutti e la cosa ci ha sconvolti». Cosa manca a Novi? «In primis manca un dormitorio; c’è quello gestito dalla Caritas vicino a Santa Rita ma non è abbastanza, troppo piccolo. L’inverno scorso un uomo è stato trovato morto su una panchina di fronte all’ospedale, ucciso dal freddo e dal vino… se ci fosse stato un dormitorio, forse sarebbe ancora a mangiare qui con noi. Le nostre risorse non bastano mai: se anche gli altri supermercatl facessero come il Bennet, e ci dessero gli alimenti in scadenza, potremmo fare di più». Mi viene la tentazione di racontare la discussione in consiglio comunale sul bollino verde, ma lascio perdere. ll momento più bello è il Pranzo di Natale che i volontari della San Vincenzo offrono ai loro "clienti“.

«Le nostre cuoche quel giorno fanno a gara per preparare un "vero" pranzo di Natale, e alla fine nessuno va via senza un pacchetto, un regalino». «A modo mio, avrei bisogno di carezze anch’io», canticchio tornando a casa, mentre incrocio la ragazza con i ricci neri. Ha una borsa della spesa, mezzo sorriso sul volto gelato e un piccolo uomo che la aspetta...