Banco Alimentare Liguria. Dottrina sociale della Chiesa, tavola rotonda a La Spezia
E' stato il prefetto della Spezia Giuseppe Forlani ad aprire ieri pomeriggio con il suo saluto l’incontro diocesano sulla dottrina sociale della Chiesa, svoltosi di fronte ad una platea gremita nel teatro salesiano «Don Bosco». Sono seguite le relazioni del vescovo Francesco Moraglia e del giornalista e storico Marco Invernizzi. A seguire, anche due testimonianze su iniziative concrete di promozione di posti di lavoro e di diffusione della solidarietà verso i meno abbienti, entrambe organizzate nel contesto della sussidiarietà di matrice cristiana.
La dottrina sociale della Chiesa (DSC) è tutt’altro che morta. Almeno a giudicare dalla grande partecipazione al convegno diocesano sui «Cinquant'anni dal Vaticano II». Eppure, nel dopo Concilio iniziò un calo di interesse, col diffondersi, anche tra i cattolici, di un clima culturale relativista, che «guarda con sospetto tutto ciò che può sapere di dottrina e di legge naturale», ha detto il vescovo Moraglia nella prolusione. «Alcuni identificavano I'annuncio col dialogo, teorizzando che la Chiesa non avesse nulla da dire sul sociale». «5i enfatizzava il ruolo della coscienza, considerata oracolo infallibile, mentre essa deve essere formata idoneamente».
Giovanni Paolo II - che sotto il nazionalsocialismo e comunismo sperimentò la «disumanità di progetti politici nati per affermare l’uomo e la libertà da Dio» — sottolineo che la DSC non è un’ideologia, ma teologia morale. Essa è una riflessione sull'uomo e la società, alla luce della fede e della tradizione, in armonia con la ragione. Nel dopo Concilio, invece, c'era «sfiducia che la fede potesse costruire un progetto di convivenza civile. Essa avrebbe dovuto, invece, omologarsi ai progetti soclo/politici del tempo». In quegli anni, «si appanna la realtà del peccato originale, che però segna l’uomo e lo rende fragile». Per questo, è decisiva una corretta interpretazione del Vaticano II, perché è in gioco la stessa concezione di Chiesa, una Chiesa a cui, nella profonda secolarizzazione di oggi, è necessaria «particolare disponibilità per incontrare le culture e, insieme, capacità di discernimento, partendo dal Vangelo, per immettere il senso di Dio in un mondo che si affida acriticamente al buon senso degli uomini — con risultati sotto gli occhi di tutti». La «Pacem in Terris» definisce la pace come risultato di una politica basata sui diritti della persona e sull'assunzione dei propri doveri. Nell'enciclica di Giovanni XXIII c’è la premessa perché la democrazia non si riduca al suo aspetto formale, aritmetico: «Ogni atto dei poteri pubblici che sia o implichi un misconoscimento o una violazione del diritti della persona è destituito di ogni valore giuridìco».
E' già la logica dei «valori non negoziabili». I credenti devono sapere che, innanzi a tali diritti ed esigenze etiche fondamentali, è in gioco il bene integrale della persona e quindi il bene comune. Tali diritti inalienabili fanno parte della missione che Cristo ha affidato alla Chiesa e sono capisaldi della dottrina sociale, specie nella società tecno-scientifica di oggi, in cui «la persona rischia d'essere espropriata della sua dignità e di trovarsi in balia di una razionalità "rinchiusa" nel fare e incapace di cogliere il senso e il valore delle cose».
La seconda parte è sulla destinazione universale dei beni, principio cristiano sin dalle origini: «solo se si guarda la Chiesa» sa in prospettiva unicamente sociopolitica lo si mette in contraddizione con la difesa della proprietà privata». Il diritto di tutti ad usare dei beni del creato discende dal fatto che la creazione di Dio è elargita all'intero genere umano. «E’ un diritto naturale non legato alla legge, viene prima d'ogni decisione positiva». La proprietà privata è un mezzo affinché la destinazione universale dei beni sia rispettata. Ma questo non significa che ogni cosa sia a disposizione di tutti, principio di una mentalità parassitaria, che favorisce l'inerzia del corpo sociale e di un modello di stato assistenzialista, fallimentare perché non rispetta la persona».
Lo storico Marco Invernizzi sottolinea che la DSC non impone un progetto di società confessionale, ma propone a chiunque un modo di organizzare la vita pubblica conforme alla verità sull'uomo. Essa è anche «strumento di nuova evangelizzazione, dopo le rivoluzioni ideologiche che hanno sconvolto quel mondo che aveva accolto Cristo ricoprendo le sue terre di cattedrali e di ospedali, di monasteri e di servizi sociali; un mondo a cui le rivoluzioni hanno tolto le radici». Gabriella Andraghetti, presidente del Banco Alimentare della Liguria, e Giacomino Iob, imprenditore, hanno testimoniato come la DSC, mettendo al centro i valori della persona, dia una forza unica, che permette di operare pene sia nel volontariato sia sul mercato.
Lo storico Marco Invernizzi sottolinea che la DSC non impone un progetto di società confessionale, ma propone a chiunque un modo di organizzare la vita pubblica conforme alla verità sull'uomo. Essa è anche «strumento di nuova evangelizzazione, dopo le rivoluzioni ideologiche che hanno sconvolto quel mondo che aveva accolto Cristo ricoprendo le sue terre di cattedrali e di ospedali, di monasteri e di servizi sociali; un mondo a cui le rivoluzioni hanno tolto le radici». Gabriella Andraghetti, presidente del Banco Alimentare della Liguria, e Giacomino Iob, imprenditore, hanno testimoniato come la DSC, mettendo al centro i valori della persona, dia una forza unica, che permette di operare pene sia nel volontariato sia sul mercato.