Banco Alimentare Sicilia Occidentale. Viaggio tra le strutture che, nonostante i tagli, aiutano chi non ha nulla
«Le file di persone sono sempre più lunghe, ma le scorte di alimenti, vestiti, generi di prima necessità sempre più esigue. La crisi economica vista dagli operatori degli enti di beneficenza assume tinte ancora più fosche e richiama tutti, istituzioni e privati, a un’assunzione di responsabilità, «perché le donazioni sono sempre meno, ma il terzo mondo bussa alla nostra porta e noi dobbiamo aprire». Aurora Amodio, presidente dell’associazione Madre Serafina Farolfi, da dodici anni tenta di strappare alla stradai bambini del Capo, aprendo ogni pomeriggio l’ex Convento Filippone, affidatole in concessione dal Comune, a oltre 80 minori, moltissimi immigrati, coinvolti in attività di doposcuola, teatro, gioco, l’associazione, però, è stata tagliata fuori dai progetti finanziati con la legge 285 e da giugno scorso prova a garantire il servizio con le sole forze dei pochi volontari, le cui armi sono sempre più spuntate. «Qualche giorno fa è crollata quella palazzina al Capo - afferma provocatoriamente la Amodio -. Se 80 bambini non fossero stati nel nostro centro, chi ci dice che non sarebbero stati a giocare tra quei ruderi? Perché è questo quello che fanno quando non hanno un posto in cui ritrovarsi».
Le donazioni negli ultimi tempi sono crollate. Proprio come denunciava qualche giorno fa don Antonio Garau, fondatore dell'associazione Jus Vitae, messa in ginocchio dalla riduzione di offerte per sostenere le attività per i giovani a rischio. «Ogni martedì distribuiamo la spesa a 150 famiglie, attingendo al Banco Alimentare - spiega la signora Amodio -, ma prima era diverso. Arrivavano pannolini, vestiti in abbondanza. Riusciamo a raccogliere qualcosa organizzando ogni mese una cena solidale, il cui ricavato serve a sostenere le attività. Ma ora ci è arrivata una cartella Tarsu da 5.600 euro, come dobbiamo fare?». E anche la Jus Vitae Onlus organizzerà per sabato 4 febbraio alle 21 una festa solidale al Nuovo Montevergini. In un altro punto caldo della povertà a Palermo, la zona Oreto, opera il Centro d’amore di Gesù, dove una piccola donna di 84 anni, con un’energia straordinaria, e un gruppo di dieci volontari offrono il minimo per la sopravvivenza a 450 famiglie ogni mese, con circa 300 bambini. Un popolo di bisognosi che bussa a quella saracinesca di via Marinuzzì, sicuro che il mercoledì avrà cosa mettere in pentola. «Noi viviamo con quello che fornisce il Banco Alimentare e con donazioni saltuarie – dice Carla Faconti, che da 25 anni opera nel silenzio -. Però, sono scoraggiata. Prima, ogni sabato, mandavamo i volontari davanti ai supermercati. Ma ci siamo resi conto che venivano guardati con fastidio, nessuno da un po' dava più nulla».
Dal centro alla periferia, il quadro non cambia. Franco Rivolo, a capo dell'associazione Shalom allo Zen, ha le spalle solide di chi da anni riesce a sostenere le attività dei ragazzi nei due centri aggregativi in via Ludovico Bianchini con progetti pubblici. «Abbiamo potuto fare a meno delle donazioni per questo, ma la discontinuità dei bandi e i ritardi cronici di Comune e Regione nell'esaminare i progetti creano enormi danni a livello sociale - spiega -. Perché qui, se i ragazzi non possono venire al centro, hanno come alternativa solo la strada. Noi tocchiamo con mano l’impoverimento delle famiglie. Chi prima si inventava il lavoro, magari andando a raccogliere ferraglia, adesso non riesce a fare neppure più quello».
Cosi, sfamare i figli diventa impossibile. Allo sportello famiglia della parrocchia San Giovanni Bosco, gestito dall’associazione «Cuore che vede», che cura anche le attività di doposcuola all'istituto Padre Messina, cercano di dare il massimo aiuto. «Con il progetto regionale sulle vecchie e nuove povertà siamo riusciti a distribuire buoni per l’acquisto di carne, medicine, occhiali a circa 200 famiglie - spiega Pino Sclafani -. Adesso il progetto è finito e ci restano solo i prodotti del Banco Alimentare. Il problema e che ultimamente manca il latte. Ne abbiamo grande bisogno, ma le donazioni diminuiscono. Ci sono venuti in soccorso gli operai della Telecom, che hanno un'iniziativa di solidarietà molto particolare: offrono i loro buoni pasto da 7 euro a enti di beneficenza. Una ventina al mese li danno a noi e così compriamo il latte».
Fonte: Giornale di Sicilia - Alessandra Turrisi