Conferenza Europea del Volontariato / Sussidiarietà: quale partenariato per le politiche del welfare
Fonte: Luca Pesenti - Università Cattolica del Sacro Cuore
Una premessa definitoria
Credo sia necessario effettuare una premessa per chiarire di cosa si parli quando si utilizzano termini generici e non intercambiabili come sono quelli di “terzo settore” e di “volontariato”. Termini sufficientemente diffusi nel dibattito internazionale, dei quali è però bene segnalare il contenuto di significato.
Il terzo settore non è un luogo periferico e interstiziale della società, ma una realtà sui generis, del tutto alternativa rispetto a Stato e mercato, portatrice di una visione concorrete rispetto a questi, e dunque non solo influenzabile da essi ma mutuamente capace di un’influenza più o meno ampia a partire dalla propria originalità.
Le fondamenta di questa definizione debbono essere rintracciate in una teoria organica del privato sociale, inteso come sfera latente del sociale in cui si costruiscono relazioni sociali sui generis che danno vita a reti di relazioni, di carattere associativo, che sono private nel loro modo di costituirsi e gestirsi, e sono pro-sociali nei loro orientamenti di valore e di azione. È una sfera che, sulla scorta delle riflessioni di Donati e Colozzi, possiamo chiamare “privato sociale” se proviamo a leggerne il dinamismo interno, e diventa “terzo settore” se ne osserviamo l’agire esterno, ovvero quando chiede riconoscimento legale e capacità giuridica e contrattuale, divenendo a tutti gli effetti un’istituzione sociale.
Se la normatività caratteristica del privato sociale è quella determinata dal dono e dalla reciprocità, il terzo settore combina queste caratteristiche, in un gioco di relazioni che coinvolge anche le matrici normative della politica e dell’economia. Quanto più la forma associativa assunta dal terzo settore si differenzia rispetto al suo nucleo generatore (il privato sociale, appunto), tanto più si assisterà a una ridefinizione delle culture civili.
La cultura di privato sociale non è per altro diffusa in modo eguale tra le diverse organizzazioni di terzo settore, frutto dell’evoluzione e della differenziazione sociale. Nei soggetti come le fondazioni e le cooperative sociali, che si espongono maggiormente alla contaminazione con lo Stato e il mercato, e dunque al mix di riferimenti mercantili e burocratici che poco hanno a che fare con il nucleo generatore del privato sociale, si assiste ad un processo di isomorfismo organizzativo, attraverso il quale alcuni tipi di organizzazione tendono ad adottare modelli organizzativi e di governance direttamente mutuati dallo Stato o dal mercato, con i conseguenti rischi. È bene dunque richiamare introduttivamente quale sia l’identità specifica del terzo settore e la sua mission, ovvero la centralità della generazione di beni relazioni e legami sociali. Una mission che il volontariato continua a rappresentare in modo specifico e che ne segna dunque l’originalità. [...]
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