Nei rifiuti il "pane" degli ultimi

di CESARE LA MARCA - La Sicilia

Tra sprechi e disagio sociale - Nella spazzatura la maggior parte di frutta, verdura, latticini e insaccati in scadenza, mentre le mense dei poveri sono sempre più affollate. Il Banco Alimentare "Il recupero è soddisfacente solo per dolci e bibite e non per alimenti primari".

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Sarebbe difficile spiegare a quanti provano ogni giorno la fame, perche cosi tanto cibo viene sistematicamente sprecato, scartato e buttato nei cassonetti della spazzatura, magari ancora confezionato, ancora perfettamente commestibile, Sarebbe difficile anche spiegare - come risulta al Banco Alimentare di Catania - perché il recupero e la redistribuzione «sociale» funziona bene soprattutto per bibite gassate, dolci e gelati – che magari non sono il massimo per chi è a digiuno da un paio di giorni- grazie alla disponibilità delle industrie alimentari che operano in questi settori, mentre non altrettanto avviene nella grande distribuzione per carni, insaccati, latticini e ortofrutta.

E non sarebbe facile nemmeno giustificare i tanti rivoli attraverso i quali, dalla produzione della filiera agroalimentare alla distribuzione, dai camion con cella frigorifera per il tra sporto di alimenti freschi e deperibili agli scaffali dei grandi supermercati, dalle mense aziendali alla ristorazione, tonnellate di cibo concludono il loro ciclo nel cassonetto della spazzatura, rappresentano un costo in più da smaltire e non la risposta possibile e logica a un emergenza drammatica, lontana quanto l’Africa e vicina quanto i poveri, gli emarginati e gli immigrati che soffrono la fame ai margini delle nostre strade.

La questione è globale e locale, come oggi capita un po' con tutto, corre sullo stesso filo conduttore che dai quartieri alle città, dalle nazioni ai continenti dovrebbe collegare etica, sostenibilità e ambiente, promuovere un utilizzo più consapevole delle risorse, scommessa ancora troppo ardua nella civiltà del «3 X 2», dei carrelli e dei frigo da riempire con le offerte speciali, delle scadenze in agguato su yogurt e mozzarelle, latte e insaccati, frutta e verdure, ultimatum die in molti tendono ad anticipare magari di un paio di giorni con il fatidico e sbrigativo gesto, non si sa mai, giusto per mantenersi leggeri.

E lo stridente contrasto con cui fa i conti anche Catania, dove si produce, si compra, si spreca e si butta come avviene un po` ovunque, dove si tenta di recuperare e si prova a redistribui re pensando agli ultimi, come altrove. con difficoltà, perché parlare di cibi semplici che magari riutilizzano vecchie ricette, di «scarti» come pane un po' indurito e insalata che non sia da vetrina oggi fa rabbrividire, se non fosse che in troppi non hanno neanche quello, e dall'Africa all'angolo sotto casa non hanno niente da farsene dei modelli imposti da una società programmata per sprecare più di quanto consuma.

Nel periodo estivo, secondo quanto risulta al servizio Nettezza urbana, aumenta di quasi un venti per cento la quantità di organico gettata nei cassonetti, tra cui frutta, verdura e latticini non consumati, cosi da portare a 45 tonnellate il bilancio mensile dei rifiuti umidi, «Ogni giorno recuperiamo da bar e rosticcerie della città sui quaranta chili di alimenti invenduti, che i volontari portano alle mense convenzionate con noi», spiega Antonino Venuto, responsabile operativo del Banco Alimentare di Catania, «l nostri volontari che si occupano del ritiro e della distribuzione sono troppo pochi, e questo è un problema. Poi c’è la grande distribuzione - aggiunge Venuto - che se a livello nazionale autorizza i volontari del Banco al ritiro diretto nei punti vendita, a Catania, dove comunque collaboriamo, possiamo ritirare i prodotti solo quando vengono rispediti in magazzino, e questo porta a disperdere gli alimenti che non vanno in vendita, magari per piccole imperfezioni nella confezione».

Il bilancio annuale oscilla intorno a una quarantina di tonnellate di alimenti recuperate nella grande distribuzione, e altrettante dai grossisti. Poi c'e il “modello” che funziona, il picco che riguarda multinazionali e grandi industrie alimentari della realtà produttiva etnea, il dato positivo che è anche la fotografia di una società fuori dalla logica, anche quando va in soccorso degli ultimi: tra 600e 800 tonnellate tra bibite, gelati e dolciumi recuperati per le mense dei poveri. dove la carne resta un lusso per i giorni di festa.