Questa è casa mia, questa è casa nostra
Abbiamo incontrato l’associazione Vides in un pomeriggio di maggio. Era da poco arrivato il primo caldo estivo nella Capitale e il rumore del vento tra gli alberi rompeva il silenzio nel quartiere di Tor Bella Monaca. Quando arrivi nella periferia romana, dimentichi subito il centro della Capitale: non ci sono turisti, non c’è il chiasso, non c’è traffico. In quell’angolo di Roma che sembra già così solo e così lontano, c’è solo il silenzio.
Scendiamo dalla macchina e ci accoglie Gianluca, il presidente dell’associazione Vides. Ha la mascherina ma i suoi occhi sorridono e mostrano fin da subito che è contento di averci lì. Con lui, c’è Maurizio, indossa una camicia a quadrettini bianca e blu, è una di quelle camicie che a me ricordano tanto mio nonno la domenica mattina. Mi basta questo piccolo particolare e i suoi occhi che cercano di scoprire perché sono lì, accanto a Vincenza, per capire la sua anima buona. Ci accolgono all’interno del centro diurno, nei locali della parrocchia S. Maria Madre Redentore, e ci raccontano la storia di Don Paolo: il parroco che girava nel quartiere con il pulmino per portare i bambini che vivevano situazioni difficili in chiesa. <<Così è nato tutto>>, afferma Gianluca, mentre ci indica le porte che collegano il centro diurno con la canonica. Quest’ultima, infatti, è stata divisa da Don Paolo per creare altri spazi per i bambini, per costruire la loro nuova casa. Ed è quest’ultima parola che vedo tra le pareti di quelle stanze, nei disegni sui muri, nei nomi sopra gli appendini dei bambini che abitualmente vivono quei luoghi. L’associazione Vides è infatti la casa di numerosi ragazzi, di età compresa dai 5 ai 17 anni che vivono in uno dei quartieri più difficili della periferia. Il centro diurno “Casa mia, casa nostra” nasce nel 2003 per prevenire e ridurre la dispersione scolastica e condotte devianti, per rafforzare le competenze individuali necessarie all’integrazione e alla partecipazione sociale. Il centro, prima del COVID, offriva anche il pranzo e la cena ai ragazzi, grazie al lavoro di Banco Alimentare, dal quale hanno continuato a ritirare il cibo, durante la pandemia, per distribuirlo tra le famiglie del quartiere. Scendiamo in auditorium e incontriamo Suor Paola, il vero cuore della casa. Improvvisamente un ragazzo in fondo al corridoio la chiama: << Oh Suò c’è un problema! >>. E’ lei il punto di riferimento per questi ragazzi che pian piano iniziamo a vedere tra i corridoi, fino a quando Gianluca ci porta nelle sale studio: qui dei ragazzi preparano gli esami di terza media o di maturità. Gianluca ci presenta e ci descrive come quelli che lì hanno portato, a marzo, tanti cheeseburger donati da McDonald’s. Dopo questa frase scatta un forte applauso. Un piccolo gesto per cui riesco ancora a vedere la gratitudine nei loro sguardi. Mentre ci dirigiamo verso le cucine, incontriamo il più piccolo del gruppo che mangia un pacchetto di caramelle e che da lontano mi fa le smorfie. Stavo ascoltando la storia di un volontario che di notte stampa giornali e di giorno aiuta l’associazione Vides, quando vedo quel bambino avvicinarsi. Ha un regalo per noi: un Grazie in una cornice creata da loro che subito riempie i nostri cuori e un foglietto su cui è scritto: nessun dovere è così urgente come quello di ringraziare chi ci ha aiutato. E in quel momento, nei loro sguardi, nelle parole di Gianluca e Maurizio, nei grazie di suor Paola, nelle smorfie di quel bambino ho letto solo una cosa: questa è casa mia, questa è casa nostra… e da oggi puoi tornare quando vuoi.