Siticibo. La cena dei rifiuti, contro lo scandalo dello spreco
«Organizzare un'happy hour di massa utilizzando cibo che la grande distribuzione era pronta a buttare via perché non rispondente ai "canoni commerciali" per la vendita, come abbiamo già fatto alla stazione di Milano Centrale per cinquemila persone e come l'anno prossimo puntiamo a organizzare in cinque grandi stazioni italiane, è un modo per invitare i cittadini comuni a prendere coscienza dello spreco scandaloso che si consuma ogni giorno nelle nostre città, e spiegare loro che un'alternativa è possibile». An¬tonio Oliva, 68enne di Cernusco sul Naviglio (Mi), per vent'anni dirigente alla Ibm e oggi pensionato, dal 2004 è un volontario entusiasta della Fon¬dazione Banco Alimentare, realtà legata al movimento di Comu¬nione e liberazione che già dal lontano 1989 è impegnata nel recupero delle eccedenze da vari soggetti della filiera agroalimentare (oggi sono centinaia) e nella redistribuzione gratuita ad associazioni ed enti caritativi, dalle mense per i poveri alle comunità di accoglienza. L'anno scorso, in questo modo, sono state imbandite le tavole di quasi un milione e mezzo di persone, attraverso oltre ottomila strutture.
ALL'INIZIO, Antonio faceva la «manovalanza»: «Andavo in magazzino e, insieme agli altri volontari, preparavo i pacchi di cibo per gli istituti di beneficienza», ricorda. Un giorno, poi, Oliva incontrò Giuliana Malaguti, responsabile del servizio di micrologistica Siticibo, dedicato al recupero giornaliero di alimenti freschi e pasti provenienti da mense aziendali e scolastiche, hotel e catering, supermercati ed esercizi commerciali: grazie a dei furgoncini refrigerati, il cibo viene ritirato e consegnato ai bisognosi in poche ore, senza nemmeno passare dal magazzino. «Cominciai a guidare il furgone su e giù per Milano, due o tre giorni alla settimana», racconta il pensionato, papà di una figlia e nonno di due nipotini. «E se, prestando servizio in magazzino, avevo scoperto quanta ricchezza era possibile creare dai prodotti che erano considerati scarti dal punto di vista commerciale, fu solo quando incominciai a recuperare gli "avanzi" delle mense che mi resi conto delle dimensioni dello spreco quotidiano di cibo: all'inizio, in un giorno con un furgone raccoglievamo dai 70 ai 100 chili di frutta e tra i 50 e i 60 chili di pane. E in pochi anni, con l'aumento delle realtà coinvolte, quei numeri sono aumentati esponenzialmente».
Per Antonio fu una svolta. Che lo portò a impegnare sempre più energie nelle attività del Banco alimentare fino a diventarne (da ormai quattro anni) responsabile per i programmi di formazione. Con un target privilegiato: le nuove generazioni. «Io sono cresciuto in una famiglia dove, un po' per esigenze economiche e un po' per cultura, i genitori ci hanno sempre insegnato a non sprecare nulla di quanto era sulla tavola, mentre mi rendo conto che oggi i giovanissimi hanno un atteggiamento molto diverso: lo vedo già nei miei nipotini!», premette Oliva. Da dove iniziare, dunque, a diffondere la cultura del non-spreco, se non dalle scuole?
«Insieme all'Ambito scolastico territoriale di Milano e alla Regione - racconta ancora l'attivissimo pensionato - abbiamo messo in piedi un nuovo programma di educazione nelle scuole con l'obiettivo di sensibilizzare i ragazzi e le famiglie. Tutto è nato dall'iniziativa dell'amica Jeanne Perego, che ha scritto il libro per ragazzi Le giornaliste di moda non mangiano il tiramisù (Itaca) per spiegare in modo divertente l'importanza del recupero delle eccedenze alimentari. L'autrice e l'editore ci hanno ceduto i diritti della commercializzazione del libro, il cui sottotitolo è "Storia di sprechi assurdi a lieto fine per ragazzi e ragazze intelligenti": ne è stata creata un'edizione apposta per le scuole e abbiamo inventato alcune attività ad hoc per far riflettere gli alunni delle elementari e delle medie e, attraverso di loro, anche le famiglie».
SE LE STIME ci dicono, infatti, che ben il 30 per cento della nostra spesa si trasforma in spazzatura senza nemmeno essere mai finita sulla tavola, è chiaro che la scarsa coscienza sul fronte dello spreco alimentare non è certo appannaggio dei bambini. «L'happy hour in Stazione centrale con il cibo salvato dalla discarica è nato proprio per questo», spiega Oliva. «Quale luogo migliore di una grande stazione, dove transitano quotidianamente migliaia di persone, per intercettare un pubblico di massa che magari non ha mai un'occasione per sentire parlare di certi temi?». Da quel primo esperimento, in cui oltre cinquemila persone parteciparono all'«aperitivo degli scarti», sono nati alcuni frutti immediati: «Qualcuno che ha conosciuto il Banco alimentare in quella occasione ci ha poi contattato per diventare volontario, e alcuni rappresentanti di aziende ci hanno chiamato per verificare la possibilità di aderire alla nostra rete», racconta Antonio. «L'obiettivo principale, tuttavia, resta quello di mettere la pulce nell'orecchio a tante persone normali, che possano poi modificare un poco il loro comportamento nelle scelte di tutti i giorni». A lui - racconta - è successo: «Non posso più sopportare di vedere buttare via il pane: quello vecchio lo inzuppo nel caffelatte il giorno dopo, oppure mia moglie lo "ricicla" facendone pangrattato, polpette...».
Su larga scala, alcuni cambiamenti concreti i volontari del Banco li testimoniano nel loro servizio: «Tra¬mite il nostro operato, le aziende hanno preso coscienza di quanto buttavano via e hanno posto maggiore attenzione alle proprie scelte. Un esempio concreto? Le michette per le mense scolastiche, che puntualmente finivano per metà nella spazzatura perché per i bambini erano troppo grandi, sono state ridotte da 90 a 50 grammi». Per il Banco alimentare - a pensarci bene - se lo spreco diminuisce, c'è anche meno eccedenza da ridistribuire ai poveri: non è così? «In questi anni, abbiamo sempre recuperato le minori eccedenze con l'aumento del numero di mense che ci donano i loro "scarti". Mentre all'inizio eravamo noi che dovevamo bussare alle porte di aziende e istituti per fare capire l'importanza di darci il cibo in eccesso, oggi la coscienza sul tema è cresciuta e sono gli altri che vengono a cercarci».
CHE LA COSCIENZA su certi temi, negli ultimissimi anni, sia aumentata, si tratta di un dato di fatto anche secondo Marco Lucchini, direttore generale della Fondazione Banco alimentare onlus. Da una parte, a livello di società civile: «Quando abbiamo iniziato la nostra esperienza, si respirava un clima di consumo senza limiti, la società non prestava attenzione al fatto che il cibo fosse un bene prezioso e limitato. La logica dell'usa e getta aveva contaminato anche l'alimentazione, con conseguenze che sono ancora evidenti nell'atteggiamento soprattutto delle giovani generazioni. In questi due decenni, tuttavia, qualcosa è cambiato: siamo riusciti a riportare l'attenzione sul fatto che il cibo è un dono di grande valore, e che deve essere rispettato». L'effetto culturale dell'impegno del Banco alimentare e di altre realtà (come il last Minute Market, nato da un progetto della facoltà di Agraria dell'Università di Bologna sulla riduzione degli sprechi) è riscontrabile, secondo Lucchini, anche dalla «nuova disponibilità da parte della filiera alimentare a riconoscere che il recupero dei prodotti invenduti e delle eccedenze rappresenta un vantaggio economico per le aziende, oltre che un bene per la società e per l'ambiente».
I frutti di questa consapevolezza - spiega ancora il direttore Lucchini - sono stati raccolti anche a livello normativo: «Prima ci fu la legge del '97 che introdusse gli sgravi fiscali alle aziende per le donazioni di derrate alimentari alle onlus. Poi, nel 2003, la norma nota come "legge del Buon samaritano", che permise a chi opera a fini di solidarietà sociale di recuperare gli alimenti ad alta deperibilità rimasti invenduti nel circuito della ristorazione organizzata e della grande distribuzione, per distribuirli ai bisognosi».
In futuro, tuttavia, l'obiettivo reale non dovrebbe essere quello di modificare il sistema che continua a produrre lo spreco? In altre parole: il Banco alimentare non dovrebbe diventare inutile? «As¬so¬lutamente - risponde Lucchini -, dovremmo tendere a questo, ma sappiamo che la perfezione è un'utopia. È più realistico puntare a inventare, con la creatività dell'uomo, sempre nuove strategie per trasformare le sfide che la società ci pone davanti in progresso. Se penso che noi abbiamo iniziato recuperando un cartone di bottiglie di Fernet e oggi raccogliamo le eccedenze di 23 mense aziendali e 94 refettori scolastici, mi convinco che c'è spazio per tante altre innovazioni che facciano bene alla società».